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Resistenza agli antibiotici arriva una risorsa dal microbioma.

Un batterio che vive nelle cavità nasali produce una sostanza, battezzata lugdunina, in grado d’inibire la crescita di Staphylococcus aureus, un altro ceppo batterico pericoloso per la sua capacità di sviluppare resistenza agli antibiotici. Testata su topi di laboratorio, la lugdunina ha dimostrato una potente azione antimicrobica nei confronti di un’ampia gamma di batteri e si candida quindi come base per un nuovo trattamento antibiotico.

Resistenza agli antibiotici

Negli ospedali e nei laboratori di microbiologia di tutto il mondo, la sigla MRSA è diventata da tempo sinonimo di grande pericolo. È infatti l’acronimo di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, un ceppo batterico che ha sviluppato una resistenza a diversi tipi di antibiotici cruciali, finora utilizzati per combattere gravi infezioni, come quelle che si instaurano intorno alle protesi, nel flusso sanguigno (batteriemia) o nel rivestimento interno del cuore (endocardite).

S. aureus si trova però anche nelle cavità nasali del 30 per cento della popolazione mondiale. Ciò ha indotto molti medici a prescrivere farmaci per debellarlo, suscitando forti polemiche, dato che si ritiene che proprio l’eccessivo uso di antibiotici sia all’origine della resistenza.

Alcuni ricercatori si sono invece concentrati sul restante 70 per cento della popolazione, sulle cui mucose il batterio sembra non attecchire. Hanno così scoperto che il merito è della presenza di altri ceppi batterici, tra cui alcune specie dello stesso genere Staphylococcus.

Resistenza agli antibiotici una risorsa dal microbioma

Colonia di S. aureus al microscopio elettronico (Wikimedia Commons)
Per scoprire la ragione di questa efficace azione inibitoria, Alexander Zipperer e colleghi dell’Università di Tübingen, in Germania, hanno condotto uno screening di 90 campioni di Staphylococcus che colonizzano la cavità nasale umana per verificarne la capacità inibitoria nei confronti di S. aureus.

Secondo quanto riferito su “Nature”, hanno così scoperto che a determinare la scomparsa di colonie di S. aureus è la specie batterica Staphylococcus lugdunensis. Ulteriori analisi hanno dimostrato che responsabile
di questa azione antibiotica è in particolare un peptide prodotto da S. lugdunensis, che è stato battezzato lugdunina.

Gli autori hanno dimostrato che la lugdunina non solo è in grado di trattare infezioni da S. aureus sulla pelle di topi di laboratorio, ma anche di svolgere una potente azione antimicrobica nei confronti di un’ampia gamma di batteri, e senza causare fenomeni di resistenza.

Per trovare ulteriore conferma di queste proprietà, Zipperer e colleghi hanno esaminato la cavità nasale di 187 pazienti ospedalizzati, riscontrando la presenza di S. aureus nel 5,9 per cento dei soggetti che avevano anche S. lugdunensis e nel 34,7 per cento di quelli che non l’avevano.

Da qui la conclusione che il nuovo batterio, e il peptide che produce, possano rappresentare un’arma terapeutica efficace nei confronti delle infezioni batteriche che colpiscono gli esseri umani, in particolare di quelle che hanno sviluppato una resistenza agli antibiotici.

“Può essere sorprendente che un membro del microbioma umano, l’insieme dei microrganismi che alberga nel nostro corpo, in particolare nell’apparato digerente, possa produrre un antibiotico”, hanno sottolineato in un articolo di commento pubblicato su “Nature” Kim Lewis e Philip Strandwitz della Northeastern University a Boston. “Ma il microbioma è composto da migliaia di specie, molte delle quali sono in competizione per lo spazio e per i nutrienti, e la pressione selettiva per eliminare i batteri vicini è elevata un probabile meccanismo per inibire la presenza di altri batteri è proprio la produzione di sostanze antibiotiche”.

Fonte; lescienze.it

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